16 aprile 2013

Nostra storia 'nti 'na canson. Baron Litron, il generale incorruttibile


16 maggio 1755. Muore a Cuneo un certo Barone di Leutrum. Poco tempo dopo i cuneesi gli dedicano la canzone `Baron Litron’. Chi era questo personaggio? Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum era un generale tedesco al servizio dell’esercito sabaudo, noto per le sue doti strategiche e la sua proverbiale incorruttibilità. E se diamo credito al soprannome, anche per la sua passione per il vino. Dopo esemplari gesta militari, che gli valsero il titolo di Maggior Generale, fu nominato governatore di Cuneo, che ai tempi era, dopo Torino, la prima piazza nel paese per numero di cannoni ordinari e munizioni. Qui, nel 1744, nel pieno della Guerra di secessione austriaca, dovette difendere la città da un esercito franco-spagnolo.
La sua abilità nell’organizzare la resistenza fu straordinaria. La città fu divisa in undici quartieri, i cuneesi dovettero consolidare le loro case con opere difensive, preparare riserve di acqua e viveri, nascondere i materiali infiammabili. Fu poi organizzato un servizio antincendio, San Francesco fu trasformata in ospedale, i portici in dormitori e magazzini per le truppe e le cantine divennero un rifugio per vecchi e bambini durante i bombardamenti.
La strategia con i nemici fu sublime. Persuase i suoi amici valdesi in alta valle a scatenare la guerriglia alle spalle dei francesi, disturbandone i rifornimenti. Inoltre, consapevole di avere dei potenziali disertori nei battaglioni sabaudi, in gran parte mercenari stranieri, mandò quei reparti fuori Cuneo in pattuglia, con lo scopo di liberarsene prima che i nemici arrivassero. I fatti gli diedero ragione: disertarono in 240. Ma poteva ancora disporre di un migliaio di volontari reclutati a Mondovì. Dopo quaranta giorni di resistenza ai bombardamenti, i nemici si ritirarono. Leutrum ottenne la promozione a luogotenente generale di fanteria, uno stipendio da favola e l’affetto di tutti i cuneesi.
Ma non è di guerra che la canzone vuole raccontare. Qui si parla invece del tentativo da parte di Carlo Emanuele III, detto Carlin, di convertire il Barone prima che morisse. Il Leutrum era, infatti, protestante. E Carlin cattolico devoto, per non dire bigotto.
La presenza di un protestante in Piemonte non sorprende. Sin dai primi anni del ducato di Emanuele Filiberto I di Savoia, nella seconda metà del ‘600, Cuneo si era misurata con la diffusione delle idee riformate, attirando l’attenzione delle autorità politiche ed ecclesiastiche. Il duca stesso caldeggiò la creazione della diocesi di Cuneo, nella sua fervida attività di Controriformatore, ma ciò non accadde per l’opposizione del vescovo di Mondovì , che non volle cedere una parte della sua giurisdizione. Le cose non cambiarono neanche più tardi: un censimento fatto nel 1758 degli edifici religiosi a Cuneo rivela che la loro percentuale sul territorio era nettamente più bassa rispetto ad altri centri (appena un sesto, mentre a Novara costituivano un terzo).
La scarsa presenza di ecclesiastici sul territorio facilitò la diffusione di dottrine eterodosse. Nel Cinquecento, le vallate cuneesi videro fiorire comunità di catari e valdesi, luterani e calvinisti, anche in conseguenza del passaggio frequente di truppe con componenti di credo luterano e ugonotto.
Furono proprio i militari, svizzeri o tedeschi, al servizio di Torino che preoccuparono maggiormente le autorità ecclesiastiche. Il governatore della città ricevette frequenti lamentele da parte del clero per una presunta eccessiva libertà concessa ai membri dell’esercito. Nel 1740 il vicario episcopale monregalese inviò a Torino una relazione in cui si accusavano gli ufficiali “eretici” di insidiare “l’onestà delle zitelle” e di disprezzare le processioni del Corpus Domini. La questione fu però posta a tacere dopo l’intervento del governatore, del comandante e di alcuni conti che negarono le accuse.
Torniamo dunque al nostro Leutrum. La canzone ricorda che il barone rifiutò fino all’ultimo la conversione al cattolicesimo, nonostante il re Carlin si fosse espressamente recato da lui per offrirgli il collare dell’Annunziata, il più ambito titolo cavalleresco negli stati Sabaudi. - Baron Litron, s't'ài da murì, ò veus-to nen che ti batezo? Faria vënì 'l vësco 'd' Turin, mi servirìa për tò parin. Litron, incorruttibile anche dinanzi a “dl’or a dl’arzan”, risponde: “ Sia ringrassià vòstra coron-a. Mi peuss mai pi ruvé a tant: ò bon barbet, ò bon cristian”.
La salma del barone fu trasportata in Val di Luserna, e seppellita nel tempio valdese, detto il Ciabas, poco distante da Torre di Luserna. Sulla tomba doveva essere posta un’iscrizione che però non giunse a destinazione perché si ruppe, così pare, durante il trasporto e non fu mai collocata al suo posto. Fu solo nel 1920 che il barone ricevette la sua lapide, il cui testo fu salvato da un documento negli archivi del regno. Ma il suo ricordo rimane ancora vivo grazie ad una canzone.


Paola Olivetti
Riasch Giurnal n. 10, maggio / giugno 2011



15 aprile 2013

Una via, un uomo



Parallela all’affollata via dello “
struscio” di Torino, via Garibaldi, proprio nel centro della città, si trova un viottolo stretto e silenzioso, un angolo incantevole simile ad una romantica via parigina; via Giuseppe Barbaroux; lavoratori da ufficio la percorrono lentamente in pausa pranzo per guadagnare qualche secondo in più di libertà, vi passeggiano le coppie assaporandone l’atmosfera o più semplicemente i torinesi la percorrono respirandone la tranquillità. Gli alti palazzi, stretti l’uno all’altro, intralciano il passaggio dei raggi del sole che, tentando di penetrarvi, creano una luce soffusa, dando la sensazione di essere all’interno di una fotografia in bianco e nero. Un piccolo mondo a sé, che racchiude epoche e generi diversi: una minuscola galleria d’arte accanto ad un più sfacciato studio di design d’interni, antiche cantine e moderni ristoranti, botteghe zeppe di chincaglierie e pezzi d’antiquariato, esposizioni di artistici bijoux artigianali, un negozio di lampade in stile moderno e, poco più in là, un bugigattolo colmo di arredi in stile art nouveau. Via Barbaroux, all’apparenza sobria e riservata, cela al suo interno peculiarità tali da elevarla rispetto alle altre, proprio come colui da cui ereditò il nome
Non tutti,infatti, sanno che il Giuseppe Barbaroux, da cui prende il nome questo via, fu uomo virtuoso, leale e appassionato, che dedicò la sua esistenza al proprio Paese e per il quale condusse una vita avvincente ed una fine travagliata. Nacque a Cuneo il 6 dicembre 1772, frequentò l'università di Torino, dove, dopo la laurea egli rimase, facendo pratica di avvocato e mettendosi ben presto in luce per la sua abilità e competenza. Fu incaricato di redigere un nuovo corpo di leggi per la Repubblica di Genova che venne annessa, dopo il congresso di Vienna, al Regno di Sardegna. Compito delicato che Barbaroux seppe affrontare con tatto e abilità, tenendo in alta considerazione le tradizioni storiche e le peculiari attività economiche genovesi. Nominato ambasciatore del regno sardo a Roma, fu capace di appianare i contrasti e ricucire i rapporti tra il pontefice Pio VII ed il sovrano sabaudo, riuscendo nel contempo ad ottenere che la città di Cuneo divenisse sede di una diocesi indipendente a partire dal 1817.
Nel 1831 Carlo Alberto lo nominò ministro e presidente della commissione per la riforma dei codici dello stato sabaudo, con l’indicazione di seguire un’ottica progressista e vagamente liberale. L’avvocato Barbaroux, moderato e rigoroso, si dedicò all'impresa con grande passione ma incontrò difficoltà durissime. I progetti elaborati dalla commissione per la legislazione dovevano infatti passare successivamente all'esame dei tre Senati del Regno, della Camera dei conti, del Consiglio di conferenza e del Consiglio di stato, per cui molte volte, i progetti ritornavano alla commissione profondamente alterati. Anche la Santa Sede oppose ostinate difficoltà alla riforma della legislazione riguardante lo stato civile. I lavori perciò si protrassero molto più a lungo di quanto all'inizio si fosse previsto ed il progetto di codice di procedura civile si insabbio. Nonostante queste lacune, la riforma dei codici operata dal Barbaroux costituì senza dubbio un notevole progresso nei confronti della legislazione precedente, ma rimase ben lontana dai modelli a cui inizialmente ci si era ispirati e dai progetti che egli aveva elaborati.
L'impresa, all’apparenza tanto gloriosa, si rivelò invece un compito ingrato, che gli costò invidie e calunnie: fu accusato dai conservatori perché intendeva abolire i privilegi dei nobili primogeniti, malvisto dai progressisti ai quali sembrò troppo freddo e moderato, sostenuto malamente e con scarsa convinzione dal un re. La sua solidità venne pian piano a disgregarsi, finché l’11 maggio 1843 si gettò dalla finestra della sua abitazione di Torino, l’attuale n. 29 di via Barbaroux, per l’appunto. Nonostante il suicidio gli furono concessi i funerali religiosi come ricompensa per il suo impegno per la creazione della Diocesi di Cuneo. Una piccola via che saldamente resiste alla massificazione e che racconta la storia di un uomo dai grandi valori ma dalle flebile risolutezza.

Erica Bo
Riasch Giurnal n. 18, ottobre / novembre 2012