
Parallela all’affollata via dello “struscio” di Torino, via Garibaldi, proprio nel centro della città, si trova un viottolo stretto e silenzioso, un angolo incantevole simile ad una romantica via parigina; via Giuseppe Barbaroux; lavoratori da ufficio la percorrono lentamente in pausa pranzo per guadagnare qualche secondo in più di libertà, vi passeggiano le coppie assaporandone l’atmosfera o più semplicemente i torinesi la percorrono respirandone la tranquillità. Gli alti palazzi, stretti l’uno all’altro, intralciano il passaggio dei raggi del sole che, tentando di penetrarvi, creano una luce soffusa, dando la sensazione di essere all’interno di una fotografia in bianco e nero. Un piccolo mondo a sé, che racchiude epoche e generi diversi: una minuscola galleria d’arte accanto ad un più sfacciato studio di design d’interni, antiche cantine e moderni ristoranti, botteghe zeppe di chincaglierie e pezzi d’antiquariato, esposizioni di artistici bijoux artigianali, un negozio di lampade in stile moderno e, poco più in là, un bugigattolo colmo di arredi in stile art nouveau. Via Barbaroux, all’apparenza sobria e riservata, cela al suo interno peculiarità tali da elevarla rispetto alle altre, proprio come colui da cui ereditò il nome
Non tutti,infatti, sanno che il
Giuseppe Barbaroux, da cui prende il nome questo via, fu uomo
virtuoso, leale e appassionato, che dedicò la sua esistenza al
proprio Paese e per il quale condusse una vita avvincente ed una
fine travagliata. Nacque a Cuneo il 6 dicembre 1772, frequentò
l'università di Torino, dove, dopo la laurea egli rimase, facendo
pratica di avvocato e mettendosi ben presto in luce per la sua
abilità e competenza. Fu incaricato di redigere un nuovo corpo di
leggi per la Repubblica di Genova che venne annessa, dopo il
congresso di Vienna, al Regno di Sardegna. Compito delicato che Barbaroux seppe affrontare con tatto e abilità, tenendo in alta considerazione
le tradizioni storiche e le peculiari attività economiche genovesi.
Nominato ambasciatore del regno sardo a Roma, fu capace di appianare
i contrasti e ricucire i rapporti tra il pontefice Pio VII ed il
sovrano sabaudo, riuscendo nel contempo ad ottenere che la città di
Cuneo divenisse sede di una diocesi indipendente a partire dal 1817.
Nel 1831 Carlo Alberto lo nominò
ministro e presidente della commissione per la riforma dei codici
dello stato sabaudo, con l’indicazione di seguire un’ottica
progressista e vagamente liberale. L’avvocato Barbaroux, moderato e rigoroso,
si dedicò all'impresa con grande passione ma incontrò difficoltà
durissime. I progetti elaborati dalla commissione per la legislazione
dovevano infatti passare successivamente all'esame dei tre Senati del
Regno, della Camera dei conti, del Consiglio di conferenza e del
Consiglio di stato, per cui molte volte, i progetti ritornavano alla
commissione profondamente alterati. Anche la Santa Sede oppose ostinate
difficoltà alla riforma della legislazione riguardante lo stato
civile. I lavori perciò si protrassero molto più a lungo di quanto
all'inizio si fosse previsto ed il progetto di codice di procedura
civile si insabbio. Nonostante queste lacune, la riforma dei codici
operata dal Barbaroux costituì senza dubbio un notevole progresso nei
confronti della legislazione precedente, ma rimase ben lontana dai
modelli a cui inizialmente ci si era ispirati e dai progetti che egli
aveva elaborati.
L'impresa, all’apparenza tanto
gloriosa, si rivelò invece un compito ingrato, che gli costò
invidie e calunnie: fu accusato dai conservatori perché intendeva
abolire i privilegi dei nobili primogeniti, malvisto dai progressisti
ai quali sembrò troppo freddo e moderato, sostenuto malamente e con
scarsa convinzione dal un re. La sua solidità venne pian piano a
disgregarsi, finché l’11 maggio 1843 si gettò dalla finestra
della sua abitazione di Torino, l’attuale n. 29 di via Barbaroux,
per l’appunto. Nonostante il suicidio gli furono concessi i
funerali religiosi come ricompensa per il suo impegno per la
creazione della Diocesi di Cuneo. Una piccola via che saldamente
resiste alla massificazione e che racconta la storia di un uomo dai
grandi valori ma dalle flebile risolutezza.
Erica Bo
Riasch Giurnal n. 18, ottobre /
novembre 2012
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