15 aprile 2013

Una via, un uomo



Parallela all’affollata via dello “
struscio” di Torino, via Garibaldi, proprio nel centro della città, si trova un viottolo stretto e silenzioso, un angolo incantevole simile ad una romantica via parigina; via Giuseppe Barbaroux; lavoratori da ufficio la percorrono lentamente in pausa pranzo per guadagnare qualche secondo in più di libertà, vi passeggiano le coppie assaporandone l’atmosfera o più semplicemente i torinesi la percorrono respirandone la tranquillità. Gli alti palazzi, stretti l’uno all’altro, intralciano il passaggio dei raggi del sole che, tentando di penetrarvi, creano una luce soffusa, dando la sensazione di essere all’interno di una fotografia in bianco e nero. Un piccolo mondo a sé, che racchiude epoche e generi diversi: una minuscola galleria d’arte accanto ad un più sfacciato studio di design d’interni, antiche cantine e moderni ristoranti, botteghe zeppe di chincaglierie e pezzi d’antiquariato, esposizioni di artistici bijoux artigianali, un negozio di lampade in stile moderno e, poco più in là, un bugigattolo colmo di arredi in stile art nouveau. Via Barbaroux, all’apparenza sobria e riservata, cela al suo interno peculiarità tali da elevarla rispetto alle altre, proprio come colui da cui ereditò il nome
Non tutti,infatti, sanno che il Giuseppe Barbaroux, da cui prende il nome questo via, fu uomo virtuoso, leale e appassionato, che dedicò la sua esistenza al proprio Paese e per il quale condusse una vita avvincente ed una fine travagliata. Nacque a Cuneo il 6 dicembre 1772, frequentò l'università di Torino, dove, dopo la laurea egli rimase, facendo pratica di avvocato e mettendosi ben presto in luce per la sua abilità e competenza. Fu incaricato di redigere un nuovo corpo di leggi per la Repubblica di Genova che venne annessa, dopo il congresso di Vienna, al Regno di Sardegna. Compito delicato che Barbaroux seppe affrontare con tatto e abilità, tenendo in alta considerazione le tradizioni storiche e le peculiari attività economiche genovesi. Nominato ambasciatore del regno sardo a Roma, fu capace di appianare i contrasti e ricucire i rapporti tra il pontefice Pio VII ed il sovrano sabaudo, riuscendo nel contempo ad ottenere che la città di Cuneo divenisse sede di una diocesi indipendente a partire dal 1817.
Nel 1831 Carlo Alberto lo nominò ministro e presidente della commissione per la riforma dei codici dello stato sabaudo, con l’indicazione di seguire un’ottica progressista e vagamente liberale. L’avvocato Barbaroux, moderato e rigoroso, si dedicò all'impresa con grande passione ma incontrò difficoltà durissime. I progetti elaborati dalla commissione per la legislazione dovevano infatti passare successivamente all'esame dei tre Senati del Regno, della Camera dei conti, del Consiglio di conferenza e del Consiglio di stato, per cui molte volte, i progetti ritornavano alla commissione profondamente alterati. Anche la Santa Sede oppose ostinate difficoltà alla riforma della legislazione riguardante lo stato civile. I lavori perciò si protrassero molto più a lungo di quanto all'inizio si fosse previsto ed il progetto di codice di procedura civile si insabbio. Nonostante queste lacune, la riforma dei codici operata dal Barbaroux costituì senza dubbio un notevole progresso nei confronti della legislazione precedente, ma rimase ben lontana dai modelli a cui inizialmente ci si era ispirati e dai progetti che egli aveva elaborati.
L'impresa, all’apparenza tanto gloriosa, si rivelò invece un compito ingrato, che gli costò invidie e calunnie: fu accusato dai conservatori perché intendeva abolire i privilegi dei nobili primogeniti, malvisto dai progressisti ai quali sembrò troppo freddo e moderato, sostenuto malamente e con scarsa convinzione dal un re. La sua solidità venne pian piano a disgregarsi, finché l’11 maggio 1843 si gettò dalla finestra della sua abitazione di Torino, l’attuale n. 29 di via Barbaroux, per l’appunto. Nonostante il suicidio gli furono concessi i funerali religiosi come ricompensa per il suo impegno per la creazione della Diocesi di Cuneo. Una piccola via che saldamente resiste alla massificazione e che racconta la storia di un uomo dai grandi valori ma dalle flebile risolutezza.

Erica Bo
Riasch Giurnal n. 18, ottobre / novembre 2012

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